Chiesa di Santa Maria Pomposa

e Aedes Muratoriana, Modena

di Federica Missere Fontana

 

La Chiesa di Santa Maria di Pomposa è nota dai documenti fin dal 1153: dipendeva dall’Abbazia di Pomposa a Comacchio ed è citata nei documenti anche nel 1189 e nel 1291. Nel 1492 non dipendeva più dall’abbazia comacchiese, ma era diventata prepositura autonoma. Fu concessa in giuspatronato agli Este.

L’attuale giardino, un tempo orto, aveva forma triangolare e un’estensione molto maggiore dell’attuale, arrivando fino alla fine dell’attuale piazzetta. C’era anche uno spazio destinato a cimitero.

Fin dai tempi più antichi la contrada dove aveva sede la chiesa era malfamata (era detta “contrada dei Rubeghi”): vi erano confinate tutte le prostitute della città, come pure avveniva nel secolo XVI, quando un grande incendio bruciò molte case (1563).

Prevosto della Pomposa fu dapprima il secondogenito del duca Rinaldo, il principe Gian Federico d’Este (1711), ma nel 1716 la prevostura fu affidata a Lodovico Antonio Muratori che trovò la chiesa in condizioni poco buone, quasi simile a un fienile, ed in rovina, e comunque sprovvista di tutto. Iniziò a fornirla di arredi e paramenti sacri e dal 1717 iniziò a riedificarla fin dalle fondamenta ampliando lo spazio fino a realizzare l’attuale coro. I lavori durarono tre anni e costarono oltre 2000 zecchini. Muratori fece anche fondere una campana (1727), un’altra sarebbe poi arrivata ad opera del nipote suo successore.

La contrada era ancora quella del passato, al tempo di Muratori nell’area vivevano circa 2500 persone ed era sempre la zona di malfattori e prostitute, che vivevano in tuguri e in case miserande, in condizioni di povertà e disagio da sempre combattute da Muratori che voleva migliorare il livello di vita e le possibilità dei suoi parrocchiani. Erano un’ottantina di case sporche e rovinate che sarebbero state abbattute nel 1773.

Nella chiesa Muratori istituì la Compagnia della Carità, che fu approvata dal vescovo di Modena nel 1721, con il coinvolgimento anche del principe Gian Federico d’Este che ne fu eletto a capo.

Per finanziare la Compagnia Muratori usò soprattutto i medaglioni d’oro ricevuti da Giorgio I di Hannover, re d’Inghilterra (1660-1727) per la dedica delle Antichità estensi (1717). La Compagnia fu poi soppressa dal Duca nel 1764, dopo la morte del suo fondatore.

Nel 1721 Muratori aveva preparato un sepolcro per sé e per i suoi davanti all’altare maggiore, ma non sarebbe poi stato tumulato lì, bensì in un’altra area della chiesa.

Nel 1733 Muratori, oberato dagli impegni, rinunciò alla prevostura in favore del nipote Gian Francesco Soli Muratori (1701-1769), che fece fare altri lavori alla chiesa.

Dopo la morte di Muratori (1750) la zona subì profonde trasformazioni: alla soppressione della Compagnia della Carità (1764), annessa all’Opera Pia, e all’abbattimento delle casupole (1773) seguì la soppressione della parrocchia (1774), con la conseguente chiusura della chiesa al culto e la vendita degli arredi sacri e delle campane. La chiesa divenne un magazzino. Furono così soppresse anche tutte le sepolture di cui non resta più notizia (1777) e le ossa di Muratori furono trasportate nella chiesa di Sant’Agostino (autunno 1774).

L’edificio fu concesso in affitto al marchese Lodovico Fabio Tassoni Estense Prisciani e furono concessi lavori di ristrutturazione per trasformarlo in abitazione (1778): tutto sarebbe dovuto cambiare radicalmente, ma – fortunatamente – non andò così. I lavori non furono eseguiti e il complesso architettonico della Pomposa tornò in proprietà dell’Opera Pia (1780).

Nel 1784 l’Opera Pia assegnò la Chiesa alla Confraternita di San Sebastiano (fondata nel 1501). Nel 1784 fu anche guastato l’orto della canonica.

A quell’epoca la chiesa – ormai chiusa da 19 anni –  era stata trasformata in granaio e legnaia: si decise di restaurarla. Il 26 novembre 1794 l’edificio fu di nuovo benedetto e riaperto al culto con dedica alla Beata Vergine e a San Sebastiano; ebbe anche un nuovo organo e nuove campane.

Ma ormai era il tempo di Napoleone: il 3 giugno 1798 la Confraternita fu soppressa e i suoi beni confiscati. La chiesa non fu più autonoma, dipendeva dal Santissimo Sacramento in Sant’Agostino.

In seguito con la Restaurazione (1814) la Confraternita (ricostituitasi fin dal 1799) riacquistò la chiesa con l’aiuto delle famiglie Tacoli e Munarini. La Confraternità restaurò la chiesa (che fu anche imbiancata) e la provvide di nuovi arredi sacri.

Nel 1900 il Municipio fece restaurare la casetta della canonica in cui Muratori aveva abitato dal 1716 alla morte, il 23 gennaio 1750, per realizzare una casa-museo adatta a ospitare il ricordo di Muratori e a renderlo fruibile ai visitatori.

Poco o nulla si sa della chiesa prima di Muratori. Nel 1720 vi era stato posto un quadro (non identificato) di Francesco Stringa, pittore ducale, poi sostituito da una lapide che ricordava Muratori, apposta nel 1751 subito dopo la sua morte. Esiste notizia di altre opere d’arte poste nella chiesa dopo il periodo muratoriano, ma oggi non più presenti.

 

La chiesa, composta da un’unica aula, presenta l’abside piatta e quattro cappelle minori, due per lato. Sulla porta d’ingresso si legge l’iscrizione celebrativa di Lodovico Antonio Muratori, posta nel 1751.

Attualmente i pezzi di maggiore spicco sono quelli del pittore modenese Bernardino Cervi e di Jean Boulanger, pittore francese, allievo di Guido Reni e attivo alla cortese estense, tutti dipinti di proprietà della Confraternita di San Sebastiano.

Nella chiesa sono presenti anche alcuni paliotti in scagliola di artisti modenesi e carpigiani attivi fra ’600 e ’700, fra cui quello che si trovava dove ora è la tomba di Muratori, poi spostato nella scala di accesso all’Aedes. Nel secondo altare a destra si segnala il paliotto del carpigiano Giovanni Pozzoli (1646-1734) che presenta l’immagine di San Francesco in preghiera entro una medaglia.

 

Nelle tribunette fra le colonne si notano le Storie di San Sebastiano di Bernardino Cervi (Modena, 1586-1630). Troviamo a destra: San Sebastiano curato dalle pie donne; San Sebastiano soggetto a bastonatura; San Sebastiano davanti all’imperatore; a sinistra: San Sebastiano illuminato dalla luce celeste mentre visita due martiri in carcere; Il martirio di San Sebastiano; San Sebastiano portato al martirio.

 

 

Sul lato destro:

nella cappellina quadro di autore ignoto, Madonna della Misericordia, copia del secolo XVIII dell'originale a Rimini;

nella prima cappella, grande Crocefisso (sec. XIX), statua devozionale di Santa Rita da cascia, all’altare paliotto in scagliola (scuola modenese, secolo XVIII);

nella seconda cappella, Biagio Magnanini (1776-1841), Gloria di angeli, Santi Luigi e Lucia; al centro del dipinto, entro cornice d’argento, la Madonna della Scala (seconda metà del secolo XVII) e all’altare paliotto in scagliola di Giovanni Pozzoli (Carpi, 1646-1734), con San Francesco in preghiera.

 

Nel presbiterio:

sul fondo, Jean Boulanger (Troyes, 1606-Modena, 1660), Madonna col Bambino e i Santi Sebastiano, Geminiano e Rocco (1525) copia del 1654 da originale di Antonio Allegri detto Il Correggio (Correggio, 1489-1534), circa del 1525, oggi alla Königlichen Gemäldegalerie (Dresden);

dietro l’altare, coro in legno di noce (prima metà del secolo XVIII);

a destra, organo di Andrea Fedeli (Ferrara, 1745-m. post 1795) del 1794.

 

Sul lato sinistro:

nella seconda cappella, Bernardino Cervi, Madonna e San Sebastiano che intercedono presso la Santissima Trinità per le anime del Purgatorio;

all’altare paliotto in scagliola con il Martirio di San Sebastiano (scuola carpigiana, seconda metà del secolo XVIII);

nella prima cappella, Lodovico Pogliaghi (Milano, 1857-Sacro Monte di Varese, 1950), Monumento funebre di Lodovico Antonio Muratori, 1931; le spoglie furono trasportate qui il 20 ottobre 1922;

nella cappellina, anconetta marmorea del 1625 con quadro devozionale del Sacro Cuore di Gesù (secolo XIX).

 

Bibliografia:

Gusmano Soli, La chiesa di S. Maria Pomposa. aggiornamento e guida breve di Lidia Righi Guerzoni; pubbl. con La chiesa di S. Maria delle Assi; aggiornamento e guida breve di Marzio Ardovini; fotografie di Beppe Zagaglia, Modena, Il Fiorino, 1993 (Le chiese di Modena); aggiornamento a ottobre 2015.

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